Innovazioni chirurgiche e terapeutiche nella cura delle emorroidi: l’importanza dell’approccio nutraceutico
Dr. Domenico Miceli, Medico Chirurgo specializzato in Proctologia e Chirurgia d’Urgenza, Casa di Cura Candela (Palermo)
La patologia emorroidaria è un disturbo molto comune, diffuso in gran parte della popolazione di entrambi i sessi. Essa ha una maggiore prevalenza nel sesso femminile a causa di un fattore di rischio legato prevalentemente alle gravidanze. La causa, infatti, risiede nella compressione esercitata dal feto sul pavimento pelvico e sui vasi iliaci, condizione che determina una stasi venosa. Inoltre, la forte pressione addominale, esercitata durante il parto, può rappresentare la causa scatenante della malattia emorroidaria.
La patologia emorroidaria consiste in una dilatazione dei cosiddetti plessi emorroidari, “cuscinetti” venosi situati nel canale anale. Le emorroidi possono essere particolarmente dolorose a causa della ricca innervazione presente nella zona anale e perianale e, spesso, sono soggette a sanguinamento, soprattutto se la defecazione richiede un particolare sforzo a causa di una condizione di stitichezza.
La patologia emorroidaria viene classificata secondo i criteri di Goligher che, valutando la severità e la modalità di presentazione del prolasso emorroidario, individua 4 gradi di malattia.
Nel primo e secondo grado, in cui le emorroidi sono ancora confinate all’interno, è possibile eseguire procedure ambulatoriali quali le legature elastiche e la scleroterapia.
Queste metodiche, seppur indolori ed associate ad un miglioramento dei sintomi, hanno un effetto limitato nel tempo ed un elevato tasso di recidiva, richiedendo molteplici applicazioni o il successivo ricorso ad un intervento chirurgico.
Negli stadi più avanzati di malattia, terzo e quarto grado, generalmente caratterizzati da sanguinamenti frequenti e abbondanti o da ripetuti episodi di trombosi emorroidaria, può rendersi necessaria la chirurgia che ha l’intento di risolvere in modo definitivo la malattia emorroidaria.
Evoluzione delle tecniche chirurgiche nella malattia emorroidaria
La vera rivoluzione, afferente alla terapia chirurgica delle emorroidi, risale al 1995, anno in cui il Dr. Antonio Longo ha proposto un approccio radicalmente diverso rispetto a quello utilizzato in precedenza. Prima di allora, infatti, le tecniche chirurgiche prevedevano l’asportazione dei “cuscinetti” emorroidari. L’intervento più eseguito era quello descritto da Milligan-Morgan che venne modificato, nel tempo, da diversi chirurghi attraverso l’utilizzo di bisturi elettrici oppure ad ultrasuoni. Essi, però, coagulando anche l’arteria che alimenta le emorroidi, non hanno modificato il principio della tecnica, che consiste appunto nell’asportazione del tessuto emorroidario.
Il Dr. A. Longo, considerando che le emorroidi sono un’entità anatomica avente la specifica funzione di perfezionare la continenza anale, e che il prolasso mucoso interno è all’origine della malattia emorroidaria, ha ideato uno strumento chiamato PPH, messo in commercio nel 1998, che consente di intervenire, per via trans-anale, sulla mucosa rettale prolassata.
L’intervento chirurgico di S.T.A.R.R. (Stapled Transanale Rectal Resection) è una tecnica mini-invasiva che, resecando il prolasso rettale attraverso il canale anale, non necessita di un approccio cutaneo. Tale particolare condizione riduce sensibilmente l’impatto sul paziente, sia per quanto riguarda la gestione del dolore post-operatorio precoce, sia per i tempi di ripresa lavorativa. La mucosa rettale, infatti, sede dell’intervento in tale procedura, è priva di sensibilità dolorifica.
L’intervento di S.T.A.R.R., inoltre, risolvendo il prolasso rettale, ripristina l’integrità anatomica del retto restituendo una normale defecazione. Le complicanze chirurgiche della metodica sono rare, soprattutto se l’intervento è eseguito da coloproctologi esperti.
Più di recente è stata ideata la tecnica THD, Transanal Haemorrhoidal Dearterialisation, che non agisce direttamente sulle emorroidi, bensì sui rami dell’arteria emorroidaria superiore. Essi vengono individuati con una sonda doppler e legati con punti di sutura in una zona insensibile al dolore, al fine di ridurre l’afflusso di sangue alle emorroidi stesse. Nella medesima procedura si interviene sul prolasso della mucosa rettale eseguendo una semplice pessia.
Tale procedura, eseguibile in regime di Day-Surgery, non può essere considerata un trattamento radicale e, per tale ragione, andrebbe proposta solo nelle fasi iniziali della malattia. La tipologia di trattamento, ovviamente, comporta un alto indice di recidive.
Strategie topiche, terapeutiche e nutraceutiche nella gestione della patologia emorroidaria
Nella patologia emorroidaria, terapie topiche e/o sistemiche hanno come obiettivo quello di lenire i sintomi causati dallo stato infiammatorio locale ed agevolare un miglioramento del trofismo del tessuto vascolare emorroidario.
Questi trattamenti, pur non andando a mutare la storia naturale della patologia, possono avere un rilevante ruolo nelle fasi acute della malattia emorroidaria e nel suo mantenimento a lungo termine. Tali terapie, in previsione di un trattamento chirurgico, inoltre, vengono utilizzate, con buoni risultati, sia nel pre- sia nel post-operatorio.
Il trattamento medico locale consiste nell’applicazione, all’interno del canale anale, di pomate, gel, supposte o schiume con funzione antalgica antinfiammatoria, antiedemigena o flebotonica.
Esso può comprendere prodotti a base di cortisonici e anestetici locali che, tuttavia, non devono essere utilizzati per periodi estesi, e prodotti a base di acido ialuronico ed estratti vegetali che possono essere utilizzati per lunghi periodi senza alcuna controindicazione.
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I trattamenti sistemici si effettuano con l’utilizzo di nutraceutici ad azione antiedemigena, flebotonica e antinfiammatoria, mediante l’assunzione di prodotti a base di estratti naturali. Tra questi, a primeggiare è senz’altro la Diosmina, composto naturale che appartiene alla classe dei bioflavonoidi. Essa svolge azione antiossidante, azione antinfiammatoria ed azione protettiva del microcircolo.
Recenti studi, inoltre, hanno evidenziato come la Diosmina, sottoposta a micronizzazione, abbia un’azione sul microcircolo, sul drenaggio linfatico e, indirettamente, sul tono venoso.
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Un importante ruolo è svolto dall’Acido ascorbico, conosciuto anche come Vitamina C, nutriente essenziale che non viene sintetizzato dall’organismo umano e deve, pertanto, essere introdotto attraverso l’alimentazione o gli integratori. La Vitamina C è idrosolubile ed è necessaria all’organismo per sintetizzare il collagene che svolge una funzione strutturale a livello dei tessuti, contribuendo al corretto funzionamento dei vasi sanguigni e del microcircolo.
Altri fitoterapici capaci di rinforzare le pareti vasali di tutto l’organismo, in particolare quelle del plesso emorroidario, sono la Centella Asiatica, il Rusco, l’Esperidina, la Vite rossa, il Mirtillo nero, ricchissimi di flavonoidi che migliorano il trofismo delle pareti vasali promuovendone l’elasticità, riducendone la permeabilità ed evitando, in tal modo, la stasi venosa.
Infine, integratori di fibre, come la Psillio, sono utili a prevenire la costipazione e a mantenere le feci morbide, riducendo la pressione sulla zona anale. La stitichezza, infatti, può favorire l’insorgenza della malattia emorroidaria o peggiorarla quando essa è già presente.
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